From Lajatico to Nowhere.

Lo spettacolo delle colline di Lajatico, fra fiori di sulla, cardi e esplosioni di ginestra. Era il mese di Giugno. Pioggia, sole, arcobaleno e poi ancora pioggia. Da tempo, e improvvisa e inaspettata, era tornata quella tanto amata mezza stagione chiamata primavera che negli ultimi anni pareva essersi dileguata. Ci avevo messo un’pò a capirlo confondendomi col cambiamento climatico, scordando quanto invece questa stagione fosse matta di suo. Un tripudio di fiori spontanei stavano nei campi e fra i cigli, sui dirupi, nell’intreccio di vecchi fili spinati e nelle recinzioni arrugginite. La primavera, inaspettata nello stupore, piena di vita. Lei sentiva che lui non sarebbe andato a lavoro quel giorno e dunque gli scrisse con una scusa. Infatti la Volvo si era fermata e lui era in viaggio verso il meccanico di fiducia livornese. Altra specie in via d’estinzione, quella degli umani in grado di aggiustare le cose. Ero sempre stata un’amante di chi si arrangia nel fare, di chi una soluzione la trova, di chi sistema, di chi vede il modo per abbellire o riparare ciò che non va. La Lei della storia sono io, e io volevo andare dal meccanico con lui ma lui non lo propose. Non mi ci voleva. Io mica avevo chiesto la luna, insomma il meccanico… Ma non mi ci voleva, punto. Questo perché lui era un uomo cattivo, questo è certo. Brutto e cattivo. Volevo andare dal meccanico con lui, ho detto, perché avevo voglia di rientrare in un’officina, con la gente che lavora e le mani sporche. Forse a Livorno ce n’era ancora una fatta come si deve, ferma in un altro periodo storico, più colorato, meno tecnologico… forse il meccanico a Livorno era ancora come le tipografie di un tempo, con tutti quegli odori, con tutto quel disordine cosmico che prevede di trovare all’improvviso il pezzo utile, l’ingranaggio valido a far ripartire il tutto. E chissà che lì in mezzo non ci fosse anche qualcosa di utile agli ingranaggi del mio povero cuore malato…e ma no perché “mai poter bere alla coppa d’un fiato, ma a piccoli sorsi interrotti”*. A quel punto la voglia ce l’avevo e potevo andarci sola dal meccanico, ma io volevo andare con lui che aveva quei begli occhi scuri, stranamente ambrati al sole. E la sua assenza a quel punto mi sciupava tutto. Mi ero messa a sbuffare. Lui secondo me e per essere onesti avrebbe dovuto pensare: “Che fortuna oggi non lavoro! Lei, che è una donna bellissima sta venendo qui e io non lavoro. È fortuna la mia! La porto con me e mentre aspettiamo l’auto ce ne andiamo a pranzo da qualche parte sul mare… che lei questa città non la conosce e io invece ci sono cresciuto. E poi la bacio, la bacio all’angolo di non so cosa, con davanti l’orizzonte di non so che, di certo senza un perché e finché yo no lo se’.. “ e poi mi ero messa a ridere sola della cazzata che avevo pensato. Però in mezzo a queste fesserie mi succhio le labbra, perché comunque che si voglia o meno, alla fine a lui piacciono i miei baci e a me piacciono i suoi. Ragione più che valida a questa stramba gita immaginaria. “Ma invece nulla, e te ragazza sei strulla!”
Al tornare nel mondo reale con un cucchiaino da caffè mangio una cena di pasta al ragù. E non è chiaro cosa diamine io stia facendo, mi preoccupo di me, poi me ne infischio, poi sorrido e poi no sé. Il viaggio è in testa. Amen.

*Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera di Kim Ki-duk
** Un malato di cuore, Fabrizio De André.

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